L’anzianità di servizio

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I software dello studio provvedono a gestire, automaticamente e in relazione al contratto collettivo di lavoro applicato dall’azienda Cliente, l’anzianità di servizio di tutte le tipologie di lavoro dipendente oltre agli eventuali ricalcoli dovuti ai passaggi di livello che possono verificarsi.

Approfondimento

L’anzianità di servizio rappresenta di frequente un requisito indispensabile per la corretta gestione del rapporto del lavoro. Per l’applicazione di alcuni istituti, come ammortizzatori sociali, contratto a tempo determinato, indennità di fine rapporto, trasferimenti di azienda, scatti di anzianità, è necessario fare riferimento all’anzianità di servizio.

Cosa è l’anzianità di servizio

Anche se l’anzianità aziendale risulta essere un aspetto il più delle volte “scontato” rispetto alle vicende che interessano la carriera lavorativa dei lavoratori, non è agevole, invece, rintracciare una precisa definizione giuridica.

Numerosissime sono le disposizioni normative che, per una loro corretta gestione, richiedono il requisito dell’anzianità di servizio mepr-show rules=”10615″ unauth=”message”]poiché in stretta correlazione tra la giusta modulazione del diritto da riconoscere o esercitare (es. la progressione retributiva attraverso il riconoscimento degli scatti di anzianità) e la longevità – o meno – del contratto di lavoro (es. le indennità risarcitorie nelle tutele crescenti).

Di certo molti dettati contrattuali, legislativi o di prassi tengono in debita considerazione l’anzianità lavorativa dei dipendenti, ma senza mai offrirne un vero e proprio significato o spiegazione.

Ma allora quale definizione dell’anzianità di servizio?

Il dubbio sembra potersi risolvere attraverso il “glossario” messo a disposizione dall’ISTAT.

Per la propria attività l’Istituto adotta, infatti, un glossario statistico contenente quasi 1.400 termini specialistici, utilizzati nelle pubblicazioni generaliste e relativi all’intero repertorio delle statistiche ufficiali prodotte dall’ISTAT. Le definizioni, periodicamente aggiornate, si riferiscono a unità di analisi, variabili e classificazioni in uso nelle rilevazioni nonché alla terminologia tecnico-scientifica di riferimento.

Nel repertorio, pertanto, è possibile rintracciare il significato, di certo autorevole, di anzianità aziendale: “Indica l’anzianità maturata dalla data di immissione in servizio presso l’impresa in cui il dipendente è attualmente occupato. Eventuali trasformazioni societarie, scorpori e fusioni tra imprese determinano una attualizzazione contabile della data di assunzione del dipendente”.

Ecco quindi che in base a tale assunto sembra possibile stabilire come l’anzianità aziendale sia rintracciabile in quell’arco temporale che misura la “vita” (o forse meglio la carriera) lavorativa di un soggetto presso la stessa impresa, computandovi anche tutte quelle vicende che legano il lavoratore al medesimo datore di lavoro o ad una pluralità di datori di lavoro che, seppur avvicendandosi, non offrono mai soluzione di continuità a quel rapporto contrattuale (come, ad esempio, nei trasferimenti di impresa).

Decorrenza e calcolo dell’anzianità di servizio

Data per valida la definizione sopra riportata di “anzianità aziendale”, tentiamo ora di individuarne l’applicazione analizzando alcuni dei più consueti istituti giuslavoristici che la identificano quale requisito necessario.

Vi è qui da puntualizzare, preventivamente, che l’anzianità di servizio, ai fini della sua gestione, decorre – di prassi – dall’inizio dell’esecuzione del contratto di lavoro sino alla data di cessazione dello stesso. Inoltre, deve essere necessariamente computata in presenza di lavoro effettivo, cioè nei periodi in cui il lavoratore presta di fatto il suo lavoro, compresi le pause e i momenti di sospensione del lavoro destinati a recuperare e ristorare le energie psico-fisiche del lavoratore (es. pause giornaliere, riposi settimanali, festività, ferie), a garantire eventuali periodi di tutela della salute (es. malattia, infortunio, ecc.), a rispettare specifici obblighi (es. astensione obbligatoria per la tutela della maternità o paternità), ad assolvere a brevi incombenze (es. permessi retribuiti).

Pertanto l’anzianità aziendale, oltre ad essere strettamente legata alla durata del rapporto di lavoro, risulta correlata anche con lo svolgimento della prestazione lavorativa o con quei periodi che comunque ne prevedono (per previsione di legge, contrattazione collettiva, prassi o giurisprudenza) la maturazione anche in assenza di lavoro effettivo.

Calcolo dell’anzianità lavorativa

L’anzianità di servizio è calcolata in base ai giorni di calendario in cui il dipendente è in forza, comprendendo:

  • periodi lavorati;
  • periodi non lavorati come (per citare i casi principali) ferie, permessi, malattia, maternità, cassa integrazione, permessi previsti dalla L. 104/92.

Sono, invece, da escludere dal computo alcuni periodi non lavorati che non rientrano nella determinazione dell’anzianità aziendale, come ad esempio le aspettative non retribuite.

La corretta determinazione – e conseguentemente il calcolo – è demandata alla contrattazione collettiva, che stabilisce previsioni diversificate rispetto al settore di attività e ai lavoratori interessati.

Ad esempio, il CCNL Terziario, Distribuzione e Servizi stabilisce come l’anzianità di servizio decorre dal giorno in cui il lavoratore è entrato a far parte dell’azienda, quali che siano le mansioni ad esso affidate, chiarendo che:

  • tutte le norme contrattuali relative all’anzianità di servizio non si riferiscono comunque al trattamento di fine rapporto, che trova regolamentazione specifica nell’art. 249 del contratto e nelle disposizioni della L. 297/82;
  • restano salvi criteri diversi di decorrenza dell’anzianità espressamente previsti per singoli istituti contrattuali, ai fini della maturazione dei relativi diritti.

I rapporti con altri istituti

Come accennato l’anzianità di servizio presenta numerosi riflessi diretti rispetto ad una serie di istituti legali e contrattuali quali, solo per citarne alcuni:

– gli scatti di anzianità

– gli automatismi di attribuzione di livello (in particolari contratti collettivi)

– le ferie e i permessi retribuiti

– le mensilità aggiuntive

– i premi aziendali (in particolare quelli di anzianità di servizio)

– i periodi di preavviso e le eventuali indennità sostitutive

– il TFR

– le indennità per cessazione del rapporto di lavoro domestico (art. 2245 c.c.)

– l’accesso agli ammortizzatori sociali

– la stipula di particolari forme di contratto

– il riconoscimento di indennità risarcitorie

– la precedenza in particolari casi di scelte aziendali (es. licenziamenti collettivi).

Di seguito analizziamo il rapporto tra l’anzianità di servizio e i principali istituti interessati.

Gli scatti di anzianità

Per scatti di anzianità si intendono le integrazioni della retribuzione legate all’anzianità di servizio dei singoli dipendenti, misurate in base alla permanenza del lavoratore in una determinata azienda.

Sono i singoli contratti collettivi a dettare le modalità di calcolo degli scatti d’anzianità.

Generalmente sono riconosciuti a corresponsione biennale o triennale e la loro maturazione decorre dal primo giorno del mese immediatamente successivo a quello in cui si compie lo scatto di anzianità. Questi ultimi possono essere corrisposti in cifra fissa o in misura variabile.

Nella voce scatti d’anzianità, quindi, va inserito un importo pari alla cifra corrispondente alla categoria o al livello di appartenenza del lavoratore, moltiplicato per il numero degli scatti maturati.

Nella generalità dei casi, inoltre, lo scatto di anzianità viene corrisposto il primo giorno del mese successivo al mese in cui lo scatto è maturato.

Infine, la contrattazione collettiva può regolamentare particolari aspetti attinenti la computabilità dell’anzianità di servizio utile alla determinazione degli scatti di anzianità, come, ad esempio, considerare o meno il periodo di apprendistato, eventuali particolari assenze, oppure la successione di contratti a termine in particolare per la attività stagionali.

Il contratto a tempo determinato

La maturazione dell’anzianità di servizio, inoltre, risulta essere collegata all’assunzione del lavoratore con un contratto a tempo indeterminato.

Ma tale maturazione può avvenire anche nel caso in cui si assista ad una serie di contratti a tempo determinato ancorati allo sviluppo di specifici progetti, seguiti poi dalla stabilizzazione a tempo indeterminato.

Tale aspetto risponde al principio di non discriminazione contenuto nell’Accordo Quadro allegato alla Dir. 1999/70/CE, ribadito dalla Corte di Cassazione con la sentenza 6 aprile 2020 n. 7705 secondo la quale eventuali discriminazioni devono essere supportate dalla presenza di concreti e precisi elementi.

D’altronde tale principio di non discriminazione era già oggetto di attenzione da parte del legislatore nazionale, che all’art. 26 D.Lgs. 81/2015 stabiliva come “Al lavoratore a tempo determinato spetta il trattamento economico e normativo in atto nell’impresa per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato…”.

Gli ammortizzatori sociali

Anche la disciplina degli ammortizzatori sociali considera il requisito dell’anzianità aziendale.

Infatti il D.Lgs. 148/2015, tenuto conto delle modifiche introdotte dalla Legge di Bilancio 2022 (L. 234/2021), stabilisce quali destinatari di tutti i trattamenti di integrazione salariale i lavoratori assunti con contratto di lavoro subordinato, ivi compresi gli apprendisti e i lavoratori a domicilio, lasciando esclusi i dirigenti.

Al fine di poter accedere alle indennità di integrazione salariale, però, i lavoratori interessati devono dimostrare di avere una “anzianità” di effettivo lavoro pari a 30 giornate alla data di presentazione della domanda di concessione presso l’unità produttiva per la quale viene richiesto l’intervento. Tale requisito, invece, non sussiste per le ipotesi di intervento integrativo dovute ad eventi oggettivamente non evitabili.

In merito alla determinazione dell’anzianità di effettivo lavoro, il ministero del Lavoro è intervenuto con la Circ. Min. Lav. 3 gennaio 2022 n. 1 riprendendo un orientamento consolidato. Il Ministero ha dunque stabilito che il requisito si perfeziona quando possa essere dimostrato lo svolgimento di effettivo lavoro, intendendo le giornate di effettiva presenza al lavoro a prescindere dalla tipologia di orario di lavoro svolto. Nel computo sono comprese anche le giornate di sospensione dall’attività lavorativa derivanti dalla fruizione di ferie, festività, infortuni e astensione obbligatoria dal lavoro per maternità (Cass. n. 16235/2002 e Cass. n. 453/2003), mentre non rilevano gli spostamenti dei lavoratori da un sito ad un altro della medesima impresa, entrambi interessati da interventi di CIGS.

I trasferimenti d’impresa

In caso di trasferimento d’impresa, ai sensi dell’art. 2112 c.c., “il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano” compresa l’anzianità aziendale maturata presso il cedente.

La Cassazione, con la sentenza 19 giugno 2018 n. 16135, ha affermato che nei trasferimenti d’azienda il lavoratore ha diritto a mantenere il trattamento economico e normativo acquisito, ma non alla parificazione totale a ogni effetto con i dipendenti già in servizio presso il datore di lavoro di destinazione, non potendo il prestatore far valere l’anzianità pregressa maturata presso l’azienda cedente per rivendicare ricostruzioni di carriera sulla base della diversa disciplina applicabile al cessionario.

Secondo i Giudici di legittimità, infatti, l’anzianità di servizio – che di per sé non costituisce un diritto che il lavoratore possa far valere nei confronti del nuovo datore – deve essere salvaguardata in modo assoluto solo nei casi in cui alla stessa si correlino benefici economici ed il mancato riconoscimento della stessa possa comportare un peggioramento del trattamento retributivo in precedenza goduto dal lavoratore trasferito.

L’anzianità pregressa, invece, non può essere fatta valere da quest’ultimo per rivendicare ricostruzioni di carriera sulla base della diversa disciplina applicabile al cessionario, né può essere opposta al nuovo datore di lavoro per ottenere un miglioramento della posizione giuridica ed economica, perché l’ordinamento garantisce solo la conservazione dei diritti, non delle aspettative, già entrati nel patrimonio del dipendente alla data della cessione del contratto.

Pertanto, anche in ossequio a recenti pronunce della Corte di Giustizia europea, il nuovo datore di lavoro ben può, ai fini della progressione di carriera, valorizzare l’esperienza professionale specifica maturata alle proprie dipendenze, differenziandola da quella riferibile alla pregressa fase del rapporto.

La successione di appalti

Anche la gestione degli appalti e della loro successione tra datore di lavoro uscente e subentrante ha riflessi sull’anzianità di servizio.

Giova qui infatti ricordare quanto chiarito dal ministero del Lavoro nella propria risposta ad Interpello n. 1/2021.

Il Dicastero del lavoro – in riferimento ai servizi di handling aeroportuale diretti a fornire ai vettori aerei un insieme di servizi di assistenza a terra e alla necessità di intervento di integrazione salariale richiesta – precisa che, al fine di evitare ricadute negative nei confronti dei lavoratori, agli stessi debba essere riconosciuta l’anzianità di effettivo lavoro “tenendo conto del periodo durante il quale il lavoratore è stato impiegato nell’attività appaltata.” E quindi presso il precedente appaltatore.

Nel caso di specie, per lo svolgimento del servizio di handling in favore del medesimo vettore aereo nello stesso scalo aereoportuale, succedendosi due società appaltatrici, doveva essere considerato un continuum inscindibile tra l’attività precedentemente prestata dai lavoratori per l’appaltatore uscente e quella prestata, successivamente, dai medesimi per l’appaltatore subentrante.

In tali ipotesi si può ritenere soddisfatto il requisito dell’anzianità del lavoratore nell’attività appaltata, prendendo in considerazione il mero impiego del lavoratore nella medesima attività (e unità produttiva) oggetto dell’appalto, a prescindere dalla specifica azienda committente per la quale l’attività di handling è stata espletata.

Il preavviso o indennità sostitutiva

Per quanto concerne la determinazione e regolamentazione del preavviso o della relativa indennità sostitutiva è la contrattazione collettiva a prendersene cura stabilendo i relativi periodi spesso diversificati rispetto all’inquadramento contrattuale e all’anzianità di servizio raggiunti dal lavoratore all’atto della risoluzione del rapporto di lavoro.

Non è però da dimenticare che tale modalità è insita nelle disposizioni dell’art. 2118 c.c. , che nel regolare il recesso dal contratto a tempo indeterminato prevede come “Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando il preavviso nel termine e nei modi stabiliti dalle norme corporative, dagli usi o secondo equità.

In mancanza di preavviso, il recedente è tenuto verso l’altra parte a un’indennità equivalente all’importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso”.

E i termini e i modi di recesso, oltre al riconoscimento dell’indennità equivalente, sono determinati appunto in virtù dell’anzianità di servizio contrattualmente prevista.

Il TFR

Anche la gestione del trattamento di fine rapporto chiama in causa l’anzianità di servizio, in particolare nel momento in cui deve essere determinato l’accantonamento e la corresponsione della relativa indennità.

Infatti, secondo l’art. 2120 c.c. “in ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, il prestatore di lavoro ha diritto ad un trattamento di fine rapporto”.

Tale trattamento si calcola, appunto, sommando per ciascun anno di servizio una quota pari, e comunque non superiore, all’importo della retribuzione dovuta per l’anno stesso divisa per 13,5. La quota, poi, è proporzionalmente ridotta per le frazioni di anno, computandosi come mese intero le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni.

Come è possibile notare, nella maturazione dei c.d. ratei di TFR, la disciplina codicistica considera l’anzianità aziendale riproporzionando su base mensile la durata del rapporto di lavoro: laddove quest’ultimo risulta inferiore a 15 giorni nel mese, non sarà considerato; diversamente, sarà attribuito all’anzianità di servizio il mese nella sua misura integrale.

Licenziamento e indennizzi

Infine, in questa carrellata di istituti influenzati dall’anzianità di servizio, è corretto anche accennare ai regimi degli indennizzi riconoscibili ai lavoratori nel caso in cui il licenziamento dovesse essere dichiarato illegittimo, e in particolare nell’ambito delle tutele crescenti ai sensi del D.Lgs. 23/2015.

L’art. 3 D.Lgs. 23/2015, nell’ambito del licenziamento per giustificato motivo e giusta causa, prevede che, nei casi in cui risulti accertato il non riconoscimento degli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità, non assoggettata a contribuzione previdenziale, di importo pari a 2 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 6 e non superiore a 36 mensilità.

Sempre nella disciplina delle tutele crescenti, il Legislatore, all’art. 4 D.Lgs. 23/2015, lega il risarcimento all’anzianità aziendale. Infatti, nell’ipotesi in cui il licenziamento sia intimato con violazione del requisito di motivazione di cui all’art. 2, c. 2, L. 604/1996 o della procedura di cui all’art. 7 L. 300/70 il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità, non assoggettata a contribuzione previdenziale, di importo pari ad 1 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 2 e non superiore a 12 mensilità.

Infine, nella regolamentazione dell’offerta di conciliazione, l’art. 6 D.Lgs. 23/2015 stabilisce che in caso di licenziamento dei lavoratori, al fine di evitare il giudizio e ferma restando la possibilità per le parti di addivenire a ogni altra modalità di conciliazione prevista dalla legge, il datore di lavoro può offrire al lavoratore, entro i termini di impugnazione stragiudiziale del licenziamento in una delle sedi c.d. protette (ai sensi dell’art. 2113 c.c.), un importo (che non costituisce reddito imponibile ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e non è assoggettato a contribuzione previdenziale) di ammontare pari a 1 mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 3 e non superiore a 27 mensilità. [/mepr-show]

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